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Parte il Festival di Internazionale. Ovvero: sulle tracce della parola “promaja”

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Eccomi in partenza per il Festival di Internazionale a Ferrara, terzo anno. Ma stavolta ho più chiaro perché lo faccio.

Ormai il livello di circolazione di informazioni è al suo massimo. Che si tratti di ombrelli per le strade di Hong Kong, di donne che guidano nel deserto medio orientale, di ragazzine che strimpellano nella costa ovest nordamericana… che si tratti della ricerca per contrastare la sla, o del grado di resistenza del gorilla glass… insomma, qualche che sia l’argomento, è possibile sapere tutto.
A patto di decidere, prima, cosa si vuol sapere.
Infatti nulla ci capita più per caso. Tra aggregatori di notizie e feed personalizzati, riceviamo migliaia di notizie, ma soltanto degli argomenti che ci interessano.

Un tempo, sfogliando un giornale, qualcun altro selezionava le notizie per noi e poteva capitare di appassionarsi ad un argomento che non conoscevamo fino al momento prima.
Tutto questo oggi non c’è più.

Ma a Ferrara, dal 3 al 5 ottobre, non ci è dato scegliere cosa ascolteremo.
Si va in una piazza, si entra in un chiostro, si fa la fila in un teatro… una volta dentro, capiterà di sentire di nuovo estremismo islamico, di come sarà l’Europa nel 2050, dell’accordo commerciale fra Europa e Usa, di come si possa crescere senza inquinare, di come si stia delineando un apartheid sanitario nel mondo, di ragionare sulla sinistra in sudamerica… tutte cose di cui non ho assolutamente idea.

Venire a Ferrara è una forma di resistenza. Ci sono persone che stimo (la redazione di Internazionale) che ha deciso per me che Maisa Saleh, Edwin Catmull, Karl Sharro, Pauline Green, Loo Hui Phang… sono persone che vale la pena sentire, ebbene, li sentirò. E’ una forma di resistenza contro me stesso, contro i miei feed, confezionati su misura.

Pensatemi, ad esempio, alle 15.00 di Sabato 4 ottobre, quando sarò all’Imbarcadero 1 del Castello Estense ad ascoltare “On the Path of Promaja”. Di seguito la sinossi:

“Promaja” è una parola macedone che, in italiano, non ha equivalenti e indica grosso modo “una leggera ma decisa raffica di vento che entra nella stanza, la scompiglia e poi esce”. Nemmeno in francese o in inglese esiste un termine per tradurla. Questi appunti di composizione radiofonica attraversano l’Europa dall’occidente ai Balcani sulle tracce della parola “promaja”, nel tentativo di superare i confini linguistici che ancora dividono il nostro continente.

Sono contento matto di andare a sentire da dove origini la parola “promaja” e di dove possa portarci questa conoscenza.

Zdravo!


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